Il barbiere è un mestiere senza tempo, una liturgia di gesti e abitudini che lo rendono una figura magica. Un po’ come il sarto o il calzolaio, sempre chiusi, almeno al Sud, la domenica e il lunedì. Pensando alla sua abilità artigianale mi viene spesso spontaneo il paragone con il mio lavoro. Qualcuno si domanderà che nesso possa esserci tra un cuoco e un barbiere in cucina… Sembra strano ma c’è. Io per esempio, uso le sue forbici da barbiere in cucina, uno strumento insolito dal taglio perfetto. Ne ho tre e le uso per tagliare le alici e le loro spine. Messe controluce sembrano proprio dei capelli. Del resto, in cucina entrano un sacco di mestieri, con i loro attrezzi. Un phon, usato per sverniciare, da noi è il mezzo per scaldare; una pinza da dentista, per noi serve per estrarre dalla materia prima quello che serve al piatto. Per questo anche il cuoco è un artigiano. Anzi è la sintesi di molti mestieri.
La figura del barbiere fa parte di me, del mio presente e del mio passato. Da piccolo, posso quasi dire di essere cresciuto dal barbiere. Quando ero alle elementari e d’estate chiudevano le scuole i miei genitori si davano da fare per mandarmi a bottega da un figaro locale. Non volevano che stessi in giro per le strade di Licata senza far niente. In quei pomeriggi estivi ho capito che lavorare per barbiere non è affatto semplice, e c’è una gerarchia da rispettare. Si inizia come garzone, sempre con la scopa in mano, per spazzare i capelli dei clienti e poi, via via, arriva l’ascesa fino alla preparazione della schiuma da barba e all’ insaponatura. Un grande successo per un bambino, perché a quel punto si conquista un posto al sole, la sera, quando il negozio si trasformava in una sorta di ritrovo fra amici, con tanto di mandolino e chitarra a fare da juke-box.
Per questo il barbiere non si cambia mai… fa parte del tuo intimo, ti entra dentro come una cosa di famiglia. Nella mia vita, costretto a tanti spostamenti, di barbieri ne ho conosciuti diversi ma mai li ho traditi, mai li ho abbandonati del tutto. Oggi so riconoscere al tatto se un barbiere ha fatto una buona scuola. Certo non è facile averlo come amico, almeno per me, perché lui vive più del vissuto degli altri che della propria esperienza. Un detto dice che il lenzuolo che si stende sulla poltrona rende i clienti tutti uguali, siano generali, imprenditori o povera gente… il lenzuolo del barbiere è democratico e nello stesso tempo autoritario, perché apre la via al potere del rasoio che tutti assoggetta, timorosi.
Il barbiere sa sempre tutto, è confidente, curioso e pure pettegolo Una seduta dal barbiere è una seduta quasi psicoanalitica… per questo anche se io ho pochi capelli ci vado lo stesso due volte a settimana. Amo il panno caldo quando mi rade la barba, scruto e riconosco i gesti di una volta, la lentezza, la cura. A volte, nell’attesa del turno, mi assopisco quasi, cullato dai ricordi.
I capelli fanno parte di noi e ci creano piacere, ma sono anche una rovina. Potete immaginare la mia reazione quando un cliente mi dice che ne ha trovato uno nel piatto? Vorrei morire, non c’è istante peggiore per un cuoco. Quello è il momento in cui ti sembra di aver fallito, il momento in cui viene meno la cosa più preziosa che puoi scambiare con i clienti: la stima.
Trovare un capello nel piatto non è come salare troppo o poco una pietanza… è un errore che mette in discussione quello che sei e quello che racconti di te, la cura, l’attenzione verso gli altri.
Un capello sottile può regalarti la gioia del ritornare bambino o la messa in discussione di tutta una vita. Per questo dico sempre ai miei ragazzi, in cucina, che un capello può essere tagliente più di un paio di forbici affilate.