Tutti si preoccupano di cosa i cuochi mettano nei piatti altrui, pochi si chiedono cosa mettano nei propri.
Cosa mangiano i cuochi? Come vivono il rapporto con il cibo, inteso come nutrimento, prima ancora che come lavoro?
Nella mia brigata, i cuochi ai fornelli cucinano a turno per tutti. Io ho sempre creduto che fosse non solo importante, ma essenziale, avere cura di cosa ingeriamo.
Come si fa infatti a credere di sapere cosa sia buono, sano, gustoso, fresco, se non lo si prova?
Come si può pretendere di servire un gusto, se prima non lo si è curato, affinato, sperimentato?
Non solo. C’è un giorno speciale in cui noi in cucina mangiamo tutti insieme.
Si tratta della domenica, il giorno della festa, il giorno in cui per il pranzo si sceglie qualcosa di speciale per celebrare il riposo, per riunirsi con le persone a cui vogliamo bene e a cui dedichiamo il meglio della nostra tavola.
Noi mangiamo insieme, imparando a cucinare i piatti della tradizione, i piatti della festa, ripartiamo dai sapori semplici, dal gusto dei ricordi. Scegliamo un formato di pasta non scontato, condiamo con intingoli lasciati a sobbolire per ore, riempiamo la cucina di immagini a colori, che ciascuno di noi recupera dai propri ricordi. Olfatto, vista, sensi, tutti raccolti intorno a un piatto che profuma dei nostri percorsi.
Non sempre è così. Perché cucinare per gli altri, in una cucina più che altrove, significa mettersi a nudo.
Esposti al giudizio degli altri, ci giochiamo le nostre carte in un luogo percepito come incerto e non ufficiale. Un luogo in cui uno chef può decidere – vedendo cosa un aiutante cucina per gli altri, e come lo fa – di affidare compiti più impegnativi e preparazioni più difficili, o di promuovere ai fuochi e non solo alle preparazioni dei fondi o, ancora, può decidere di investire, di fidarsi.
Io ho sempre cucinato, in tutti gli anni trascorsi dietro i fornelli degli chef che mi hanno insegnato il mestiere. Cucinavo per me e per gli altri. Non solo per far capire di cosa ero capace, a dir la verità, ma soprattutto perché volevo sapere ciò che mangiavo! Volevo mangiare bene, insomma.
Per questo ho accettato alla fine anche di espormi al giudizio degli altri, rinunciando a una cosa a cui nessuno pensa quando cucina: il piacere della sorpresa.
Preparare il cibo per gli altri infatti è come sapere già cosa c’è dentro i regali di Natale… Non è solo esporsi, non è solo mettersi a nudo di fronte al giudizio degli altri ma è regalare a chi mangia una cosa decisamente più preziosa: l’attimo della sorpresa, il gusto della scoperta, la curiosità della novità. Un po’ come quando cucina la mamma, che con generosità, ogni giorno, si mette al servizio di tutti, rinunciando alla sorpresa di quello che troverà sulla tavola e regalandola con amore alla famiglia.
Per questo il cibo non può essere solo un lavoro, ma un percorso di attenzione e cura verso gli altri, a partire da noi stessi.
Per questo la cucina è uno dei luoghi in cui la retrovia conta quasi più della tavola imbandita.
Quasi…