Natale

Natale

Il Natale è tante cose.
È la magia del rito che si rinnova.
È il vocio che viene dalla cucina, è la frenesia delle mani che lavorano assieme per preparare il dolce delle feste.
È il sapore dei mustaccioli, con il decotto di carruba.
È il profumo delle mandorlate.
È la buccia d’arancia tagliata a spirale perché così è più facile farla seccare e farci le leccornie.
È l’attesa del treno che riporta a casa i miei genitori.
È la gioia degli abbracci, la trepidazione per i regali.
È la novena di Natale, è l’impegno di servire messa con la tunica bianca, è la sveglia all’alba prima della scuola, è l’orgoglio dei piccoli gesti.
È casa.
È famiglia.
È cibo.
È memoria.
Ed è soprattutto, per un giorno, tornare bambino.

Mi ricordo che quando ero bambino aspettavo il Natale perché significava soprattutto il ritorno dei miei genitori. Lavoravano in Germania, e tornavano a casa solo per Natale. L’attesa del treno che li riportava in Sicilia era una gioia tumultuosa per il mio cuore. Sicuramente ero impaziente di incontrarli, ma ancora di più trepidavo immaginando i pacchi e le soprese.
Nei giorni che precedevano Natale la casa si riempiva di voci e di profumi. La famiglia si riuniva in cucina, tutti insieme davamo una mano per preparare i dolci delle feste. Nelle stanze si diffondeva l’odore delle mandorlate e dei mustaccioli, un vero e proprio dolce collettivo, fatto con il decotto di carruba e preparato con tanti giorni di paziente lavoro. Ricordo che ogni volta che a tavola mangiavamo le arance, ci era fatto divieto di aprire la scorza a casaccio: dovevamo inciderla a spirale, senza romperla, perché questa spirale sarebbe poi stata messa ad essiccare per poter dare l’aroma ai dolci.
Per me il senso del Natale si ritrova in questi profumi e rivive nei piatti, nella memoria dei gesti che mi porto dietro da allora. Una volta chiesi al pasticcere del mio ristorante di allestire la preparazione dei mustaccioli per servirli ai clienti. Dopo qualche giorno mi prese da parte e mi disse, molto serio: “Chef, quando deve riprendere qualche collaboratore, lo metta a fare i mustaccioli… ci va talmente tanto tempo che sembra una punizione perfetta!”
Nell’ironia del pasticcere ritrovo però una grande verità della mia infanzia: le mani che si univano per preparare i cibi complicati erano quelle di tutta la famiglia e anche dei conoscenti, degli amici, del vicinato. Era un modo per stare insieme, oltre che di aiutarsi. Un modo per aspettare le feste, e per celebrarne il suo senso più profondo: la condivisione, del cibo, degli affetti e delle possibilità.